Lavinia Fontana, Ritratto di Antonietta Gonzales

Questo dipinto, della pittrice italiana Lavinia Fontana, realizzato tra il 1594 e il 1595, ritrae Antonietta Gonsalvus, figlia del nobile Petrus, uno dei cortigiani di Enrico II di Francia. La piccola Antonietta, come le tre sorelle e il padre stesso, soffriva di ipertricosi, una pelosità che le copriva tutto il volto.

La raffinatezza degli ornamenti che decorano l’elegante vestito indossato dalla giovane, così come il risalto delle mani, candide e affusolate, fanno quasi passare in secondo piano l’eccessiva peluria del volto. Non così nel ritratto del padre, in questo dipinto del 1580.

Il padre di Antonietta Gonzales, Petrus, 
in un dipinto di artista anonimo, del 1580 circa.

La famiglia di Petrus Gonsalvus divenne oggetto di indagine medica da parte di diversi studiosi dell’epoca, tra cui Ulisse Aldrovandi (naturalista italiano, uno dei primi in Europa, considerato da Carlo Linneo il padre degli studiosi di storia naturale).Il padre di Antonietta Gonzales, Petrus,  in un dipinto di artista anonimo, del 1580 circa.

Nonostante i Gonsalvus vivessero e si comportassero come dei nobili, non erano considerati completamente umani agli occhi dei loro contemporanei e venivano “donati”, da una corte all’altra come una sorta di animali domestici di corte. Gonsalvus, infatti, dopo essere stato alla corte di Enrico II di Francia, fu trasferito a quella di Alessandro Farnese, duca di Parma.

La moglie potrebbe essere stata Catherine Raffelin, dama di compagnia di Caterina de’ Medici.  Si ritiene che il matrimonio tra Petrus Gonsalvus e lady Catherine possa aver ispirato in parte la fiaba La bella e la bestia.

L’artista

Lavinia Fontana (Bologna, 24 agosto 1552 – Roma, 11 agosto 1614) è stata una pittrice italiana del tardo manierismo. Viene ricordata per essere stata la prima donna a dipingere una pala d’altare e per aver dipinto il primo nudo femminile a opera di una donna (Minerva nell’atto di vestirsi) su commissione del cardinale Scipione Borghese.

Era figlia del pittore manierista Prospero Fontana, nella cui bottega poté attingere, accanto agli insegnamenti del padre, a una vasta gamma di esperienze pittoriche emiliane (dal Parmigianino a Pellegrino Tibaldi), venete (Veronese, Jacopo Bassano), lombarde (Sofonisba Anguissola) e toscane. Presso il padre poté anche frequentare i Carracci (Ludovico, Agostino e Annibale), poco più giovani, ma che non mancarono di influire su di lei.

Fonti:

https://it.wikipedia.org/wiki/Ritratto_di_Antonietta_Gonzales
https://it.wikipedia.org/wiki/Lavinia_Fontana
https://en.wikipedia.org/wiki/Petrus_Gonsalvus
https://en.wikipedia.org/wiki/Petrus_Gonsalvushttps://en.wikipedia.org/wiki/Ulisse_Aldrovandi

Fonti immagini:

https://loirelovers.fr/visiter-chateau-musee-beaux-arts-blois/
https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Tognina.jpg
https://commons.wikimedia.org/wiki/File:PetrusGonsalvus.jpg
(fonte fotografo: Kunsthistorisches Museum Vienna, Bilddatenbank
https://www.khm.at/objektdb/detail/5529)

Beato Angelico, Guarigione del diacono Giustiniano

Giustiniano era un diacono della chiesa romana. Egli aveva una gamba malata, e una notte gli apparvero in sogno i santi Cosma e Damiano, due celebri medici, tradizionalmente creduti fratelli, che gli sostituivano la gamba con quella di un uomo morto poco prima, un vero e proprio trapianto.

Al risveglio si accorse che tutto era vero, solo che la gamba nuova era di un etiope, quindi scura.

La scena è ambientata nella stanza da letto di Giustiniano, in un interno reso con estrema cura. La luce, che viene da una finestra sulla parete, illumina la stanza: al centro il grande letto ligneo di Giustiniano, che vi è coricato e assopito, mentre i due santi si adoperano attorno a lui per l’intervento miracoloso. L’arredo è costituito da oggetti, anche minuti, che creano una viva descrizione di un interno dell’epoca; si possono osservare uno sgabello, gli zoccoli, una bisaccia, una brocca con bicchiere.

Straordinario l’uso della prospettiva (la cui trattazione, nel De Pictura di Leon Battista Alberti è di soli pochi anni prima – 1434-1436) e del chiaroscuro.

Questo pannello faceva parte della predella con le Storie dei santi Cosma e Damiano della Pala di San Marco, destinata all’altare maggiore della chiesa di San Marco a Firenze, officiata dai domenicani del convento di cui faceva parte anche l’Angelico stesso.

Aggiungo una curiosità sui due celebri medici Cosma e Damiano: erano detti “anargiri”, in quanto curavano gratuitamente le persone. Un giorno curarono l’emorroissa Palladia, la quale, in segno di ringraziamento, insistette per ricompensarli con tre uova. Cosma rifiutò nettamente, mentre Damiano, colpito dall’insistenza della donna, decise di accettarle di nascosto, suscitando poi un ampio rimprovero del fratello, che ordinò ai suoi seguaci, quando fosse morto, di non seppellirlo accanto a lui.

Anche questo episodio è oggetto di un altro pannello della medesima Pala: a sinistra un arco nell’abitazione di Palladia mostra l’interno della stanza dove Cosma e Damiano guariscono, con la somministrazione di una bevanda medica, un anziano parente di Palladia (quindi, qui, non Palladia stessa), che è però raffigurata a destra mentre, sulla soglia di casa, dà a Damiano la ricompensa in segno di ringraziamento, che egli accetta, nonostante con la mano e con un cenno della testa, indichi la riluttanza ad accettare.

L’artista

Beato Angelico, Fra’ Angelico, o Giovanni da Fiesole (nato Guido di Pietro – 1395-1455) è stato un pittore italiano. Frate domenicano, cercò di saldare i nuovi principi artistici rinascimentali, come la composizione prospettica e l’attenzione alla figura umana, con i vecchi valori medievali, quali la funzione didascalica dell’arte e il valore mistico della luce.

Venne beatificato da papa Giovanni Paolo II il 3 ottobre 1982, anche se già dopo la sua morte era stato chiamato Beato Angelico sia per l’emozionante religiosità che pervade tutte le sue opere che per le personali doti di umanità e umiltà. Fu Giorgio Vasari, ne Le vite, ad aggiungere al suo nome l’aggettivo “Angelico”.

Fonti:
https://it.wikipedia.org/wiki/Guarigione_del_diacono_Giustiniano
https://it.wikipedia.org/wiki/Guarigione_di_Palladia
https://it.wikipedia.org/wiki/Beato_Angelico

Fonte immagine: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Angelico,_predella_dei_santi_cosma_e_damiano_da_pala_di_san_marco,_healing.jpg

Caravaggio, Bacchino malato

In occasione della mostra Caravaggio 2025, in corso a Roma, a Palazzo Barberini, mi soffermo su questa famosa opera giovanile (1596-97, quando l’artista aveva 25-26 anni) del Merisi, che figura tra quelle esposte.

Il titolo del dipinto è dovuto al colorito della pelle del soggetto che, secondo alcuni studiosi, sarebbe proprio un autoritratto dello stesso Caravaggio, eseguito durante la sua convalescenza in seguito al ricovero presso l’Ospedale della Consolazione (l’ospedale dei poveri), avvenuto – sembra – per una ferita alla gamba causatagli dal calcio di un cavallo.

In questo dipinto, Caravaggio sembra porre l’accento sulla malattia di Bacco, sottolineando il pallore del volto e il colore bluastro delle labbra e non attenuando per nulla le imperfezioni del corpo umano.

Anche in questo dipinto, come pure in altre sue opere, Caravaggio cita una posa michelangiolesca: in questo caso, quella della gamba piegata e sollevata o divaricata, che assume il significato di rinascita, ma anche di vittoria e trionfo.  È evidente che il trionfo in questione sarebbe quello del pittore sulla malattia e la morte; si tratterebbe dunque di una sorta di “resurrezione” del pittore stesso, la cui malattia aveva fatto temere il peggio; certo, una sorta di resurrezione profana, il cui riaffacciarsi al piacere della vita da parte del pittore è vissuto con incredulità e malinconia.

L’artista

Caravaggio, pseudonimo di Michelangelo Merisi (Milano, 29 settembre 1571 – Porto Ercole, 18 luglio 1610), si formò prima a Milano, e poi per gran parte della sua vita artistica a Roma. Durante gli ultimi quattro anni della sua vita visse tra Napoli, l’isola di Malta e la Sicilia. Caravaggio acquisì, vivente, grande fama internazionale e dopo la morte fu ispiratore della corrente pittorica del caravaggismo avendo egli esercitato una forte influenza sulla pittura barocca del XVII secolo, ma venne poi dimenticato fino alla riscoperta critica nel XX secolo, specie ad opera del grande critico Roberto Longhi.

Oggi è considerato uno dei più celebri rappresentanti dell’arte occidentale di tutti i tempi, fondatore della corrente naturalistica moderna, in contrapposizione al Manierismo e al Classicismo, così come precursore della sensibilità barocca. I suoi dipinti dimostrano un’eccezionale sensibilità nella resa della dimensione umana, fisica ed emotiva, anche tramite la fedeltà al modello dal vivo e l’uso scenografico della luce, caratteristiche che furono considerate al tempo rivoluzionarie, in totale contrapposizione alla prassi accademica raffaellesca. La principale componente del suo stile consiste nel realizzare la prospettiva e la tridimensionalità attraverso l’uso drammatico e teatrale della tecnica del chiaroscuro.

Fonti

Fonte immagine:
https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Sick_young_Bacchus_by_Caravaggio.jpg

El Greco, Ritratto di un uomo vecchio

Quello che vedete qui è un autoritratto di El Greco, databile tra il 1595 e il 1600, quando l’artista era prossimo ai 60 anni.

Il quadro è stato oggetto di accurati studi a cura della professoressa Raffaella Bianucci e collaboratori, riportati in un articolo del 2017 sul Journal of the Neurological Sciences.

Si legge nell’abstract: “L’iconodiagnosi, la diagnosi retrospettiva basata sulle immagini delle patologie, è stata applicata alla tela Ritratto di un vecchio, un autoritratto dipinto da El Greco. Sono stati riscontrati enoftalmo congenito, strabismo, probabile ambliopia e segni di neglect sinistro. Supponiamo che questi segni possano essere coerenti con un evento ischemico che ha interessato il territorio di irrorazione dell’arteria cerebrale media destra. Storicamente, l’attività motoria non è stata compromessa e il pittore è stato in grado di tornare alla ritrattistica. Le prove documentali indicano che alcuni anni dopo (1608), El Greco ha sofferto di un altro evento cerebrovascolare che ha causato agrafia. Le prove pittoriche e storiche sono coerenti con molteplici eventi ischemici che hanno causato disabilità progressive con decorso fluttuante caratterizzato da miglioramenti temporanei e peggioramenti prima della sua morte nel 1614”.

Un’indagine affascinante che ha dimostrato ancora una volta come l’arte possa andare oltre la bellezza visiva e fungere da strumento per una diagnosi medica postuma. Questa scoperta offre una connessione unica tra medicina e arte, mostrando come i segni del corpo possano essere catturati e, in alcuni casi, interpretati anche molti anni dopo.

Si ringrazia la dottoressa Antonella De Robbio che mi ha fornito la documentazione di questo dipinto e una sua lettura.

L’artista

El Greco, pseudonimo di Domínikos Theotokópoulos, nacque a Candia (nell’isola di Creta) il 1° ottobre 1541.

È stato pittore, scultore e architetto greco, vissuto in Italia (dove si confrontò con le famose botteghe di Tiziano, Bassano, Tintoretto e Veronese) e poi in Spagna, a Toledo, dove visse e lavorò fino alla morte avvenuta il 7 aprile 1614. Famosa è propria una sua veduta di Toledo.

È considerato tra le figure più importanti del tardo Rinascimento spagnolo.

Lo stile drammatico ed espressionistico di El Greco era guardato con perplessità dai suoi contemporanei, ma è stato molto apprezzato e rivalutato nel corso del XX secolo. Alcuni studiosi moderni lo hanno definito come un artista assai singolare e difficilmente inquadrabile nelle scuole pittoriche tradizionali. È famoso per le sue figure umane sinuosamente allungate e per i colori originali e fantasiosi di cui spesso si serviva, frutto dell’incontro tra l’arte bizantina e la pittura occidentale.

Fonti:

Fonte immagine:
https://commons.wikimedia.org/wiki/File:El_Greco_-_Portrait_of_a_Man_-_WGA10554.jpg

Edvard Munch, La fanciulla malata

Quella qui riportata è una delle sei versioni de La fanciulla malata (o La bambina malata), opera del pittore norvegese Edvard Munch, noto universalmente per L’Urlo.

Quando Munch compose il quadro aveva soli 22-23 anni e la fanciulla ritratta era la sorella quindicenne Sophie, affetta da tubercolosi, per la quale sarebbe morta nel 1887.

Il dipinto raffigura Sophie vista di profilo, stesa su un letto e con le spalle appoggiate a un grosso cuscino bianco; accanto a Sophie, inginocchiata, vi è una figura femminile (la zia Karen) che – sopraffatta dal dolore – congiunge le proprie mani con quelle della bambina, in un gesto di saluto estremo; quest’intreccio di mani costituisce il vero e proprio centro geometrico dell’opera.

La pittura corrosa, graffiata, è come se fosse sofferente essa stessa.

La gestazione de La fanciulla malata è dettagliatamente descritta nel diario personale dello stesso Munch: «Quando vidi la bambina malata per la prima volta – la testa pallida con i vividi capelli rossi contro il bianco cuscino – ebbi un’impressione che scomparve quando mi misi al lavoro. Ho ridipinto questo quadro molte volte durante l’anno – l’ho raschiato, l’ho diluito con la trementina – ho cercato parecchie volte di ritrovare la prima impressione – la pelle trasparente, pallida contro la tela – la bocca tremante – le mani tremanti. […] Credo che nessun pittore abbia vissuto il suo tema fino all’ultimo grido di dolore come me quando ho dipinto La bambina malata».

L’artista

Edvard Munch (Løten, 12 dicembre 1863 – Oslo, 23 gennaio 1944) è stato un pittore norvegese. La sua infanzia è stata offuscata dalla malattia, dal lutto e dal terrore di ereditare una condizione mentale che si era frequentemente presentata in famiglia. Dipingendo il proprio stato emotivo e psicologico (“pittura dell’anima”) ne fece il suo stile distintivo.

A Berlino incontrò il drammaturgo svedese August Strindberg, di cui fece un celebre ritratto, mentre si dedicava alla realizzazione di un’importante serie di dipinti in cui raffigurò diverse tematiche da lui profondamente sentite, come l’amore, l’ansia, la gelosia e il tradimento.

Mano a mano che la sua fama e la sua ricchezza crescevano, il suo stato emotivo diveniva sempre più fragile. Considerò brevemente la possibilità di sposarsi, ma non riuscì mai ad impegnarsi. Trascorse i suoi ultimi anni lavorando in un sostanziale isolamento.

Fonti

Fonti immagine: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Munch_Det_Syke_Barn_1885-86.jpg
http://samling.nasjonalmuseet.no/no/object/NG.M.00839

Andrea Mantegna, Camera degli sposi

Quella che vedete sopra è una sezione del ciclo di affreschi che ricopre le pareti di una stanza collocata nel torrione nord-est del Castello di san Giorgio di Mantova. È la celeberrima Camera degli sposi, o Camera picta (“camera dipinta”) che Mantegna realizzò tra il 1465 e il 1474.

Il tema generale della raffigurazione è una celebrazione politico-dinastica della famiglia di Ludovico II Gonzaga nell’occasione dell’elezione a cardinale del figlio Francesco.

Nell’immagine si coglie il marchese Ludovico II Gonzaga seduto su un trono a sinistra, mentre tiene in mano una lettera e parla con un servitore dal naso adunco, probabilmente il suo segretario. Al centro troneggia seduta la moglie del marchese, Barbara di Brandeburgo, in posizione quasi frontale, con una bambina alle ginocchia che sembra porgerle una mela, forse l’ultimogenita Paola.

Ma la figura che a noi interessa è la nana di corte Lucia. Se guardiamo bene il particolare vedremo come questa fosse affetta da neurofibromatosi: possiamo notare delle macchie cutanee e i neurofibromi plessiformi sul dorso delle mani.

Andrea Mantegna, Camera degli sposi (Camera picta), 1465-1474.
Ciclo di affreschi nel torrione nord-est del Castello di san Giorgio, Mantova.

Quello che è incredibile è che la neurofibromatosi o malattia di von Recklinghausen (1833-1910) fu definita da quest’ultimo sul finire dell’Ottocento. Un esempio di come l’arte possa non solo narrare la medicina, ma addirittura anticiparla, descrivendo malattie emergenti o non ancora conosciute. L’opera di Mantegna diventa un documento visivo di grande valore, capace di rappresentare con incredibile realismo una condizione che sarebbe stata studiata scientificamente solo molti anni dopo. La scoperta di questa rappresentazione è stata resa possibile grazie alla ricerca della professoressa Raffaella Bianuccidell’Università di Torino, che ha pubblicato lo studio nel numero di ottobre 2016 della rivista The Lancet Neurology.

L’artista

Andrea Mantegna (1431-1506) è stato un pittore, incisore e miniaturista italiano, cittadino della Repubblica di Venezia.

Si formò nella bottega padovana dello Squarcione; venne a contatto con le novità dei toscani di passaggio in città quali Filippo Lippi, Paolo Uccello, Andrea del Castagno e, soprattutto, Donatello, dai quali imparò una precisa applicazione della prospettiva. Mantegna si distinse infatti per la perfetta impaginazione spaziale, il gusto per il disegno nettamente delineato e per la forma monumentale delle figure.

Il contatto con le opere di Piero della Francesca, avvenuto a Ferrara, marcò ancora di più i suoi risultati sullo studio prospettico tanto da raggiungere livelli “illusionistici”, che saranno tipici di tutta la pittura nord-italiana (si pensi al celebre “Cristo morto” esposto a Brera). Sposò Nicolosia, la sorella di Giovanni Bellini, divenendone il cognato.

Fonti

Fonti immagini:

Raffaello Sanzio, Ritratto di Tommaso “Fedra” Inghirami

Tommaso Inghirami, detto “Fedra” (1470-1516), fu segretario del Collegio cardinalizio nel 1503, sotto il pontificato di Giulio II, e fu nominato direttore della Biblioteca Vaticana nel 1510. Era uno dei più importanti poeti latini della sua epoca, detto il “Cicerone italiano”.

Qui è raffigurato al suo scrittoio, ritratto a mezzo busto, con una tunica rossa stretta in vita da una cintura. Sul capo porta una berretta rossa. Sul tavolo, un calamaio, un foglio di carta bianca, e uno scrigno o leggio dove è posato un libro aperto, il tutto a indicare la sua attività umanistica e le sue inclinazioni letterarie.

Colpisce lo sguardo, con ogni probabilità in riferimento allo strabismo di cui sarebbe stato affetto. Va anche detto, tuttavia, che personaggi “toccati” dall’ispirazione divina o poetica erano così rappresentati nelle raffigurazioni antiche, così come gli evangelisti nelle immagini tradizionali. 

L’artista

Raffaello Sanzio (Urbino, 28 marzo o 6 aprile 1483 – Roma, 6 aprile 1520) è stato un pittore e architetto italiano, fra i più celebri del Rinascimento e considerato uno dei più grandi artisti di ogni tempo e fra i massimi interpreti del concetto estetico del Bello.

Raffaello ha vissuto una parabola lavorativa relativamente breve, ma estremamente prolifica e profondamente innovativa per le numerose opere iconiche e per il modo in cui queste sono state prodotte, avvalendosi di una bottega altamente strutturata e composta da numerosi professionisti di altissimo livello e varie discipline che il maestro dirigeva e a cui affidava buona parte del suo lavoro. La “maniera” di Raffaello fu di vitale importanza per lo sviluppo del linguaggio artistico dei secoli a venire. A tutto questo si aggiunge il pionieristico lavoro di studio e recupero delle vestigia dell’arte romana, impostato su rigorosi criteri scientifici, che lo rendono fra i padri dell’archeologia e della tutela dei beni culturali.

Fonti

Fonte immagine:

https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Inghirami_Raphael.jpg

Domenico Ghirlandaio, Ritratto di vecchio con il nipote

Uno dei più famosi dipinti in tema “Arte & Medicina” è certamente il Ritratto di vecchio con il nipote, del Ghirlandaio.

Risale intorno al 1490 e raffigura un vecchio e un bambino, suo nipote, seduti vicino a una finestra attraverso la quale si intravede un dolce paesaggio.

Ciò che si coglie immediatamente, e che ha contribuito a rendere famoso il quadro, è il naso del vecchio, visibilmente bitorzoluto. Con ogni probabilità si tratta di un caso di rinofima, un’alterazione della struttura cutanea del naso. L’alterazione, a carattere benigno, ha una lenta e progressiva evoluzione e porta a un ingrossamento sproporzionato del naso, che assume una forma bulbosa e bitorzoluta. La patologia, che insorge più frequentemente nell’uomo adulto, è innescata da un’infiammazione granulomatosa, la rosacea che, se non curata, porta all’instaurarsi di una progressiva iperplasia e ipertrofia delle ghiandole sebacee, fibrosi e linfedema.

Tornando al quadro, si noti il neo sporgente del vecchio, la canizie incipiente, in contrapposizione ai lineamenti dolci e delicati del nipote, con meravigliosi capelli biondi, fluenti e mossi, nonché un nasino perfetto.

Lo sguardo tra i due è intenso quanto dolce e sereno, pieno di affetto. Il vecchio, nonostante le deturpazioni, riflette saggezza e dignità.

L’artista

Domenico Bigordi, detto il Ghirlandaio (Firenze, 11 gennaio 1449 – Firenze, 11 gennaio 1494), operò soprattutto nella città natale, divenendo tra i protagonisti del Rinascimento all’epoca di Lorenzo il Magnifico. Verso il 1480 divenne di fatto il ritrattista ufficiale dell’alta società fiorentina, grazie al suo stile preciso, piacevole e veloce. Capo di una nutrita ed efficiente bottega, in cui mosse i primi passi nel campo dell’arte anche il tredicenne Michelangelo Buonarroti, il Ghirlandaio è ricordato soprattutto per i grandi cicli affrescati, quali alcune scene della Cappella Sistina a Roma, la Cappella Sassetti e la Cappella Tornabuoni nella sua città natale. Domenico fece parte della cosiddetta “terza generazione” del Rinascimento fiorentino, assieme a maestri quali Verrocchio, i fratelli del Pollaiolo (Antonio e Piero) e il giovane Sandro Botticelli.

Fonti

Fonte immagine: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Domenico_ghirlandaio,_ritratto_di_nonno_con_nipote.jpg

La nuova rubrica Arte & Medicina

Il blog di Terminologia medica si arricchisce di una nuova sessione: Arte & Medicina.

Non è una cosa nuova, tutt’altro, ma spero lo sia la modalità di presentazione.

Delle “pillole” di arte, che si leggono in pochi minuti, vuoi per piacere vuoi per migliorare le proprie conoscenze. Un modo per cominciare la giornata lavorativa o per accompagnare il caffè di una pausa.

Ogni post riporterà il dipinto, ovviamente, corredato da una breve descrizione/interpretazione. In questa verrà citata, in neretto, la parola chiave che rimanda alla medicina: può essere la condizione, la malattia da cui era affetto il soggetto; o il sintomo, il segno; o la pratica medica che raffigura o altro ancora.

A chiudere la “scheda”, poche note biografiche sull’artista.

Spero vi piacerà. L’Arte, credetemi, detto per esperienza personale, è la miglior medicina.