Covid-19: “la” malattia e “il” virus

Data l’attualità, questo blog non può che partire cercando di fare un po’ di chiarezza sui termini di questa pandemia.

COVID-19 (o Covid-19, con la sola iniziale maiuscola) è quello più usato, ma molti confondono il virus con la malattia. Questo termine, infatti, è l’acronimo di COronaVIrus Disease-19, e con esso si intende pertanto la malattia da coronavirus del 2019, denominazione stabilita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) l’11 febbraio 2020.1

COVID-19 non è quindi il nome del virus responsabile della malattia, che è SARS-CoV-2 (severe acute respiratory syndrome-coronavirus-2), come stabilito sempre l’11 febbraio 2020 dall’International Committee on Virus Taxonomy (ICTV), sulla base di un’analisi filogenetica di coronavirus correlati.2

Il SARS-CoV(1), è il caso di ricordarlo, è il virus della  sindrome respiratoria acuta grave (la SARS, appunto), che apparve per la prima volta nel novembre 2002 nella provincia del Guangdong (Canton) in Cina.

C’è da dire che non tutti gli scienziati sono d’accordo sul denominare così il virus della pandemia corrente: la stessa OMS, inizialmente, aveva proposto di denominarlo 2019-nCoV (novel-coronavirus 2019), mentre in un articolo pubblicato il 21 marzo 2020 su Lancet3 gli autori del lavoro propongono di denominarlo HCoV-19 (Human CoronaVirus 2019), in modo da mantenere la coerenza con la malattia stabilita dall’OMS.

Per quanto concerne invece questioni più strettamente linguistiche, l’articolo da anteporre a COVID-19, acronimo che come abbiamo visto indica la malattia e non il virus, dovrebbe essere al femminile (“la COVID”), e così per il momento prevale nelle pubblicazioni di carattere scientifico. Tuttavia, l’uso al maschile domina nella stragrande maggioranza dei casi e nell’uso comune per cui, visto che spesso è l’uso a influenzare la lingua, l’impiego di COVID al maschile non può considerarsi grammaticalmente scorretto. In un dottissimo articolo a cui si rimanda per molti e brillanti approfondimenti, l’Accademia della Crusca afferma che “il radicamento nella lingua corrente del maschile è infatti ormai tale che anche un’eventuale raccomandazione a favore del femminile da parte dei linguisti sortirebbe probabilmente scarso effetto”.4


Fonte

Portale italiano delle classificazioni sanitarie.