Taglio cesareo o parto cesareo?

Un affezionato lettore del blog mi chiede se sia più corretto usare “taglio cesareo” o “parto cesareo”.

Esistono entrambe le forme e sono accettate entrambe, anche se la mia preferenza, per le ragioni di cui dirò, è per “taglio cesareo”, anche se una ricerca su Google ha dato ben 2.050.000 occorrenze per “parto cesareo” contro le 706.000 di “taglio cesareo”.

La storia del taglio cesareo è antichissima. Si ha una prima testimonianza risalente addirittura al 715 a.C. quando una legge romana (la “Lex Cesarea”) prevedeva l’estrazione del feto dalle donne morte durante il travaglio di parto. Questo veniva fatto con lo scopo di salvare il bambino (cosa che peraltro succedeva di rado), perché era vietato seppellire una donna gravida prima dell’estrazione del feto (e in seguito anche per poterlo battezzare). Ebbene, quella “Lex Cesarea” prende il nome  dal verbo latino caedo, caedis, cesi, caesus sumcaedere  cioè “tagliare”. Questa una prima ragione per cui preferire “taglio” a “parto”, e cioè l’origine etimologica. Certo, alcuni potrebbero obiettare che visto che “cesareo” sta già per “taglio” dire “taglio cesareo” è una ripetizione…

I bambini che venivano estratti post-mortem venivano chiamati cesones o césares; è infondata invece l’origine del termine in relazione alla nascita di Giulio Cesare, semplicemente per il fatto che sua madre (Aurelia Cotta) morì anni dopo aver dato alla luce il figlio. Piuttosto è il cognomen “Caesar” che potrebbe derivare dal fatto che un antenato di Cesare nacque dall’utero tagliato (lo racconta Plinio il Vecchio che a proposito di Manlio il Cartaginese e Scipione l’Africano dice che erano chiamati “Cesari” perché estratti dal ventre tagliato della loro madre).

Interessante, poi, sapere che San Cesareo di Terracina è il protettore del parto cesareo. Costui (un giovane diacono martirizzato a Terracina all’inizio del II secolo d.C.), è appunto il santo protettore dei parti cesarei in virtù del suo nome, questo sì legato al grande condottiero romano (il nome Cesareo significa “devoto a Cesare”).

Insomma, per tornare alla domanda del lettore, direi che il parto cesareo è quello che avviene attraverso un taglio cesareo; quindi, darei la preferenza alla correttezza di quest’ultimo termine. Anche la comunità scientifica credo che per la maggioranza la pensi così: riprova ne è che la AOGOI (Associazione Ostetrici Ginecologi Ospedalieri Italiani) parla di “linee guida AOGOI taglio cesareo” (qui).

Farmaco o medicinale?

I termini “farmaco” e “medicinale” (e anche “prodotto medicinale”) non sono la stessa cosa, anche se sono stati usati nel corso degli anni come sinonimi; di recente si è preferito usare il termine medicinale, che viene impiegato anche nelle direttive comunitarie che disciplinano questo settore.

Citiamo testualmente dal sito salute.gov:

Si intende per medicinale:

  1. ogni sostanza o associazione di sostanze presentata come avente proprietà curative o profilattiche delle malattie umane;
  2. ogni sostanza o associazione di sostanze che possa essere utilizzata sull’uomo o somministrata all’uomo allo scopo di ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche, esercitando un’azione farmacologica, immunologica o metabolica, ovvero di stabilire una diagnosi medica.

Sempre sul detto sito si specifica che “tutti i medicinali sono costituiti da principi attivi e da vari eccipienti. Il principio attivo è il componente dei medicinali da cui dipende la sua azione curativa, il medicinale vero e proprio.
Gli eccipienti sono invece componenti inattivi del medicinale, privi di ogni azione farmacologica”.

E, ancora, si precisa che i medicinali possono distinguersi in: medicinali preparati in farmacia (galenici, a loro volta suddivisi in magistrali [se preparati in base a una prescrizione medica destinata a un determinato paziente]; eofficinali [se preparati in farmacia in base alle indicazioni della Farmacopea europea o della Farmacopea Ufficiale della Repubblica Italiana e destinati ad essere forniti direttamente ai pazienti serviti da tale farmacia) e medicinali di origine industriale. L’immissione in commercio di questi ultimi deve essere autorizzata dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) o dall’Agenzia Europea per i medicinali (EMEA).

Il medicinale generico, invece, è un medicinale che è bioequivalente rispetto a un medicinale di riferimento, con brevetto scaduto, autorizzato con la stessa composizione quali-quantitativa in principi attivi, la stessa forma farmaceutica, la stessa via di somministrazione e le stesse indicazioni terapeutiche. Tuttavia, il  termine “generico”, si è dimostrato infelice in quanto percepito dal pubblico come simile, ma non uguale al medicinale di riferimento indicato per la stessa patologia. Per questa ragione i prodotti “generici” sono stati ridefiniti medicinali equivalenti (L. 149 del 26 luglio 2005).

Fonte:
http://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_6.jsp?lingua=italiano&id=3615&area=farmaci&menu=med