Prefissi, suffissi, primi e secondi elementi nella formazione dei termini medici

In un precedente articolo ci siamo già occupati dei prefissi e suffissi nella costruzione dei termini medici.

Ora ci torniamo sopra perché il blog si arricchisce di una nuova pagina (direi monumentale, non fosse che per le dimensioni e il lavoro che ci sta dietro, che oltretutto mi ha allontanato per un po’ dallo scrivere nuovi articoli). La trovate in Home page come “Prefissi e suffissi”. In realtà, è molto di più di prefissi e suffissi. Vediamo perché.

Prefisso significa “particella che, anteposta alla radice di una parola, ne modifica il significato” (per es., de-, in-, pro-), mentre nel suffisso questa particella è posposta (per es., -aio, -are, -eo). Ma occorre distinguere prefissi e suffissi dai prefissoidi e suffissoidi. Il prefissoide è “l’elemento formativo iniziale di una parola composta, derivato da una parola di significato compiuto” (per es., auto-, elettro-, foto-, tele-), ed è sinonimo di primo elemento.Il suffissoide, invece, è “l’elemento formativo terminale di una parola composta, derivato da una parola di significato compiuto” (per es., -grafia, -mania, -teca), ed è sinonimo di secondo elemento.

Ebbene, nella nuova pagina troverete centinaia di prefissi, suffissi, primi e secondi elementi che vanno a formare i termini medici. Per ognuno di essi è indicata l’etimologia, dal greco o dal latino, e – ovviamente – il significato.

È una pagina “strategica”, perché conoscere la composizione dei termini medici, la loro etimologia ci permette di maneggiarli e destreggiarsi meglio con essi, perché conoscere cosa c’è dietro una parola, sapere da dove deriva, come si è formata, significa impadronirsi della parola, usarla con consapevolezza.

Naturalmente, se doveste trovare qualche omissione o qualche imprecisione, segnalatela: un blog è fatto per arricchirsi con il concorso dei lettori.

Trattino sì, trattino no

Avendo messo nel dizionarietto la voce “post partum”, un lettore mi ha chiesto “Quindi ‘post’ (ma anche ‘pre’) va sempre staccato dalla parola che segue? Post sinaptico, post prandiale, ecc.?”.

Questa, potrei dire scherzosamente, è una domanda che avrei preferito non mi venisse fatta. Perché la risposta è complessa e arbitraria. Nel senso che (cito l’Accademia della Crusca) “in questo ambito la variabilità degli usi è decisamente elevata”. Quindi, ciascuno fa un po’ a modo suo. Tuttavia, proviamo a  dare qualche indicazione di base.

In linea di massima, se appena possibile, specie se il termine è entrato nell’uso comune, si tende a evitare il trattino dopo “pre” e “post”, per cui avremo, per esempio, prepuberale, premestruale, postoperatorio (attenzione, se devo scrivere “nel periodo pre- e postoperatorio” il trattino dopo “pre” sta per la parola sottesa, cioè operatorio).

Formazioni, però, del tipo post-frontale, post-maturazione, solo per fare due esempi, richiedono istintivamente il trattino: è una questione di “orecchio”, il termine tutto attaccato suonerebbe male, o – se preferite – non sarebbe bello a vedersi. Più in generale, il trattino si usa quando separa un termine poco usato, non ancora entrato nell’uso comune, o molto specialistico (più con il “post” che con il “pre”).

Il trattino, poi, è obbligato quando separa due consonanti uguali: l’esempio classico è post-traumatico, impossibile da scriversi tutto attaccato. Quando però si tratta di vocali, la cosa è più complessa, basti pensare a preeclampsia, che si scrive solitamente tutto attaccato con la doppia “e”. Altri usano comunque il trattino (pre-eclampsia) per la regola di cui sopra (e cioè separare lettere uguali).

Ma ci sono anche i casi in cui i termini stanno preferibilmente separati senza trattino: è il caso di post partum, post mortem, forse per via del latino, o dell’uso non comune del termine.

E, si faccia attenzione, mi sono limitato al pre e al post, perché altrimenti andiamo a ingarbugliarci ulteriormente. Prendiamo, per esempio, meta-analisi, che si trova tranquillamente anche come metaanalisi e metanalisi, o intra-arterioso, intraarterioso, intrarterioso.

Insomma, tranne poche regole certe, è una questione di sensibilità e scelte individuali, l’importante (che è poi quello che dico sempre anche per molti altri contesti in cui è difficile stabilire regole certe) è essere uniformi all’interno dello stesso testo/articolo; una uniformità assoluta non esiste.

Prefissi e suffissi nella denominazione delle malattie

Come anticipato nello scorso articolo, eccoci di nuovo a indagare circa l’origine dei nomi delle malattie. Nell’articolo precedente abbiamo trattato delle malattie eponimiche, ma queste sono certo una minoranza: nella maggior parte dei casi, i termini con cui si definiscono le malattie si formano con l’uso di suffissi e prefissi.

Ecco allora -ite (polmonite, epatite, artrite…), suffisso di origine greca (-ites), che ha proprio significato di “malattia”, in particolare infiammatoria.

Poi c’è il suffisso -osi, sempre di origine greca (-osis), per lo più con significato di “affezione degenerativa” (artrosi – si noti la contrapposizione con artrite). Il suffisso -osi, tuttavia, indica genericamente una condizione o uno stato, per cui  ecco termini come dermatosi, nevrosi, psicosi, sclerosi, trombosi

Naturalmente, ecco il suffisso algia (dal greco algos, “dolore”) per definire uno stato doloroso a carico di una qualsiasi struttura anatomica non accompagnato dalla presenza di lesioni macroscopiche (nevralgia, mialgia…).

Tra gli altri suffissi per designare le malattie, ecco -ismo (dal greco -isma) che ha significato di condizione o malattia risultante dalla struttura anatomica indicata nella prima parte del termine o che la implica: si pensi a alcolismo, gigantismo, irsutismo, strabismo e moltissime altre condizioni.

Un altro suffisso molto impiegato è -oma, che ha significato di “rigonfiamento”, “tumefazione” e lo si ritrova, per esempio, in ematoma, ma ha anche significato di “tumore” e infatti la maggior parte delle denominazioni dei tumori si avvale di questo suffisso: carcinoma/adenocarcinoma per i tumori maligni che derivano da un tessuto epiteliale (di rivestimento o ghiandolare), sarcoma per i tumori maligni che si sviluppano nel tessuto connettivo, linfoma/mieloma per quelli linfoemopoietici, astrocitoma/blastoma per quelli derivanti dal tessuto nervoso, melanoma, dai melanociti.

Per le tumefazioni non neoplastiche si usa -cele (meningocele, varicocele, idrocele…).

Ecco poi -iasi, per le malattie parassitarie (amebiasi, giardiasi, teniasi…). Con qualche eccezione, perché, per esempio, a candidiasi si preferisce candidosi. (Anche la psoriasi, pur avendo il medesimo suffisso, non è una malattia parassitaria, ma un’affezione cutanea cronica non contagiosa.)

A concorrere alla denominazione delle malattie si trovano non solo suffissi, ma anche prefissi: è il caso di iper- e ipo- con i rispettivi significati di “al di sopra” e “al di sotto”. Si pensi a ipertensione/ipotensione, iperglicemia/ipoglicemia, ipertiroidismo/ipotiroidismo e moltissimi altri, anche se – va detto – questi prefissi stanno più a indicare una condizione piuttosto che una malattia.

Per indicare alterazioni di funzione si usa dis- (disuria, dispepsia…), mentre per indicare privazione an- (anemia, atrofia…).

Mi sa che anche questo secondo articolo non conclude il tema “da dove vengono i nomi delle malattie”, me ne occorrerà un altro, ma nel prossimo, vi prometto, cercheremo di divertirci di più.