Eponimi in medicina

In medicina si fa (e, ancor più, si è fatto) un ampio uso degli eponimi. Banalmente, questi sono denominazioni fondate sul nome di uno scienziato; più precisamente (il solito insostituibile Serianni) “unità polirematiche in cui un termine generico è accompagnato dal nome di uno scienziato”.1

Il termine deriva dal greco epónymos, cioè sopra (epi-) il nome (ónyma).

Sono moltissime le malattie eponimiche (malattia di Alzheimer, malattia di Parkinson, sindrome di Ménière…), ma eponimi si hanno in abbondanza in anatomia (ansa di Henle, organo spirale di Corti…), istologia (apparato di Golgi…), semeiotica (segno di Babinsky…), metodologia diagnostica (la conta di Addis…), chirurgia (le varie metodiche secondo…) e in altri contesti ancora.

Molto spesso, specie per la denominazione delle malattie, gli eponimi venivano usati quando queste non erano sufficientemente chiare ed erano quindi il solo possibile criterio di inquadramento nosologico.2 E, a riprova di ciò, una volta che la malattia veniva meglio identificata la sua denominazione eponimica veniva meno (anemia di Cooley, ora beta-talassemia major; sindrome di Down, cui oggi si tende a preferire trisomia 21…). Come dire che il progresso delle conoscenze ha oscurato l’uso di alcuni eponimi e fatto giustizia di altri.2 Certo, con le malattie eponimiche si può percorrere la storia e l’evoluzione della medicina, e l’argomento è pertanto affascinante.

Vi sono anche sostantivi derivati da un nome proprio (termini “deonomastici”), come le dita ippocratiche (o ippocratismo digitale), la röntgenterapia (da W. C. Röntgen), lo schwannoma (neurinoma, da T. Schwann).1

In alcune occasioni, il nome che accompagna il termine generico non è di uno scienziato, ma viene dalla letteratura. Ecco allora la sindrome di Pickwick (dal Circolo Pickwick, di Dickens) per definire le caratteristiche cliniche di obesità, sonnolenza diurna, apnee notturne, proprie del protagonista del romanzo. Oppure il bovarismo (per definire quell’atteggiamento psicologico in cui si confondono fantasie e realtà) che prende la sua origine dall’opera Madame Bovary, di Gustave Flaubert. Oppure, la sindrome di Stendhal, che consiste in un’affezione psicosomatica che provoca tachicardia, capogiro, vertigini, confusione e allucinazioni in soggetti messi al cospetto di opere d’arte di straordinaria bellezza: lo scrittore francese Stendhal ne fu personalmente colpito durante il suo Grand Tour effettuato nel 1817 (“Ero giunto a quel livello di emozione dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti ed i sentimenti appassionati. Uscendo da Santa Croce, ebbi un battito del cuore, la vita per me si era inaridita, camminavo temendo di cadere”).

Per oggi ci fermiamo qui, ma con il prossimo articolo torneremo sull’origine dei nomi delle malattie, perché il tema è davvero molto interessante. Almeno per me… e per voi, lettori?

  1. Serianni Luca. Un treno di sintomi. I medici e le parole: percorsi linguistici nel passato e nel presente, Milano, Garzanti, 2005.
  2. Bonessa Camillo. Dizionario delle malattie eponimiche. Milano, Raffaello Cortina Editore, 1999. (Nell’immagine dell’articolo, un dettaglio della copertina.)