In medicina si fa un uso molto abbondante (anzi, direi eccessivo) di sigle e acronimi. “Sigla” e “acronimo” sono sostanzialmente sinonimi, tuttavia la sigla è formata dalle sole lettere iniziali delle parole che la compongono, mentre l’acronimo può essere anche formato con più lettere (sillabe) delle parole che lo compongono. Ne deriva che nelle sigle le lettere vengono pronunciate separatamente, mentre gli acronimi possono essere pronunciati come se fossero un’unica parola. Entrambi sono abbreviazioni, anche se queste ultime vengono per lo più intese come forme contratte di una sola parola (come “pag.” per pagina, o “es.” per esempio).
Degli acronimi si fa un uso frequente per identificare i trial clinici: per esempio, BEST (Beta-blocker Evaluation Survival Trial), LIFE (Losartan Intervention For Endpoint reduction in hypertension study).
Le sigle vanno usate al posto del termine per esteso solo quando questo ricorre nel testo con una certa frequenza e non, per esempio, se compare solo tre o quattro volte in tutto. Un loro uso eccessivo, come in certi abstract, appesantisce il testo, tanto nella lettura quanto nell’aspetto grafico.
Le sigle vanno sempre esplicitate la prima volta che compaiono nel testo, e tale esplicitazione va ripetuta, preferibilmente, in ogni nuovo capitolo o sezione del testo stesso, a meno che si sia preferita una legenda o un’appendice riepilogativa di tutte le sigle usate con il loro significato. Può essere fatta eccezione per quelle ormai universalmente riconosciute (DNA, AIDS…), così come per quelle usate in una pubblicazione specialistica (può suonare ridicolo, per esempio, ricordare in una pubblicazione per cardiologi che ECG sta per elettrocardiogramma!).
Una stessa sigla può avere più significati, ragione in più per esplicitarla sempre: AV, per esempio, può stare sia per “atrioventricolare” sia per “arterovenoso”; CRF per “insufficienza respiratoria cronica (chronic respiratory failure)”, ma anche per “insufficienza renale cronica (chronic renal failure)”, oppure “fattore che favorisce la liberazione della corticotropina (corticotropin-releasing factor)”, o ancora “scheda raccolta dati (case report form)”.
La forma più corretta per esplicitare una sigla è quella riportata nei seguenti esempi:
- barriera ematoencefalica (BEE)
- broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO)
- malattia di Alzheimer (Alzheimer disease, AD)
- virus dell’epatite C (hepatitis C virus, HCV).
Si noti che nei primi due esempi le sigle derivano da termini italiani e quindi è sufficiente far seguire solo, tra parentesi, la sigla corrispondente, mentre quando la sigla deriva da un termine inglese si riporterà sempre tra parentesi, in corsivo, il termine stesso per esteso, seguito dalla sua sigla (in tondo).
Alcuni preferiscono, nell’esplicitazione inglese, l’uso delle iniziali maiuscole (nell’esempio di cui sopra, Hepatitis C Virus), così da richiamare con maggior immediatezza la sigla. Tuttavia, tale forma appesantisce il testo ed è sconsigliabile (tranne, naturalmente, quando nella sigla ricorrono nomi propri). Proprio per non appesantire il testo, nel linguaggio giornalistico le sigle vengono scritte in M/m (per es., Aids, Dna), ma non così in un testo di medicina dove vanno sempre scritte tutte in maiuscolo (o nel più elegante maiuscoletto).
Le sigle non vanno mai puntate e preferibilmente non vanno usate nei titoli.
PS: nell’immagine, un ritaglio della copertina del “mitico” Dizionario delle sigle mediche, di Mario Lucchesi, Raffaello Cortina Editore, fermo – ahimè – al 1994, anche perché oggi avrebbe lo spessore di un dizionario e verrebbe continuamente scavalcato dal quotidiano in quanto ogni giorno vengono coniate nuove sigle.