Inglese sì, inglese no

Chi segue questo blog avrà colto ormai che non amo molto l’uso delle parole inglesi quando ne esistono di equivalenti in italiano. Anzi, diciamola tutta: questa pratica non la amo per nulla e la scoraggio in ogni modo. Dirò ancora di più: il “piegarsi” all’inglese ha fatto disastri introducendo nel linguaggio della medicina parole che ormai si fa fatica a contrastare e che sono francamente sbagliate, o almeno improprie (due soli esempi di cui ho detto in precedenti articoli: morbidità in luogo di morbilità, e disordine per disturbo/malattia).

Tuttavia, bisogna ammettere che in certe occasioni non si può trovare di meglio di specifici termini inglesi che si distinguono per essenzialità, sintesi.

Come dire diversamente da compliance? Forse, “aderenza del paziente alle cure mediche”? Impensabile. O borderline? “Parametro/valore ai limiti della norma”? E la clearance? “Volume di plasma completamente purificato da una sostanza per unità di tempo”? Proprio no.

Tre parole, in questi maledetta contingenza epidemica, mi hanno colpito per la loro esattezza: tracing, testing e treating, al punto che esse sono ormai “le 3T” che denotano la capacità del sistema sanitario di far fronte all’emergenza. Certo, potremmo dire “tracciamento, test (capacità di fare i) e trattamento”, ma – consentitemelo – non è propriamente la stessa cosa.  

Vediamole meglio queste parole, visto quanto sono d’attualità.

Il tracing è la capacità identificare i pazienti positivi, filtrare i contatti stretti, monitorare le condizioni.

Il testing equivale a  organizzare i flussi e i processi per la diagnosi dell’infezione da Sars-CoV-2.

Il treating è la capacità di curare i pazienti nelle sedi assistenziali appropriate.

Poi, naturalmente, moltissime altre parole inglesi adottate in questa pandemia lasciano perplessi (droplets, per esempio, di cui non c’è alcun bisogno).

Visto che siamo in argomento, a seguire, un elenco, certamente ristretto (ma più è contenuto e meglio è), di termini inglesi che possiamo accettare senza problemi. Se i lettori vogliono contribuire aggiungendone (con giudizio), ben volentieri!

  • bias (ma anche errore sistematico)
  • biofeedback
  • borderline
  • breath test
  • burnout
  • bypass
  • caregiver
  • carrier
  • check-list
  • check-up
  • clapping
  • clearance
  • cluster
  • compliance (ma anche collaborazione del paziente)
  • consensus conference
  • counseling (ma anche consulenza psicoterapeutica)
  • crossing over
  • end-point
  • fatigue
  • feedback
  • flow chart (ma anche diagramma di flusso)
  • flushing
  • follow-up
  • helper
  • imaging
  • input
  • insight
  • kit
  • marker (ma anche marcatore)
  • natural killer
  • non responder
  • nursing
  • pacemaker
  • panel
  • Pap-test
  • patch
  • pattern
  • performance
  • pool
  • problem solving
  • quality assurance (ma anche assicurazione qualità)
  • random (ma anche casuale)
  • range
  • rash
  • responder
  • reuptake (ma anche ricaptazione)
  • scavenger
  • screening
  • setting
  • shift
  • shock
  • shunt
  • steady-state (ma anche stato di equilibrio o reazione all’equilibrio)
  • stent
  • stress
  • target (ma anche bersaglio o obiettivo)
  • tender points
  • test
  • training
  • trial
  • turnover
  • uptake (ma anche captazione)
  • wash-out

6 commenti

  1. federicaborgini ha detto:

    Nel campo “patient advocacy” ci sono anche i termini “empowerment” ed “engagement”, a mio parere così ricchi di contenuto che sono praticamente intraducibili.

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  2. Claudia Percivalle ha detto:

    Molto condivisibile quello che scrivi – direi anche che l’abitudine a non tradurre porta non solo a un imbarbarimento della lingua italiana, ma anche ingenera confusione mentale, perché ci lascia nella mente qualcosa di non definito e non finito. Direi che uno sforzo di traduzione va perlomeno avviato, magari per concludere che è meglio lasciare in inglese. Esempi: “target” in molti casi, può essere tradotto correttamente con “bersaglio” (tessuto bersaglio, sito bersaglio, molecola bersaglio), in altri con “obiettivo”; su indicazione della collega Ombretta Metelli, che ringrazio, ho reso recentemente in italiano “bias” e “random” rispettivamente come “errore sistematico ” e “casuale”; per ” marker” di solito adopero marcatore, e rendo “steady-state” come “stato di equilibrio”, “reazione all’equilibrio”. Ripeto, non sempre, non dovunque. Ma un esercizio di buona approssimazione, tendente all’ottima, può essere fantastico per i nostri muscoli di traduzione!

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  3. Buongiorno Tiziano!

    grazie come sempre per questo spunti. Mi trovi assolutamente d’acordo sul fatto di usare l’italiano dove si può anzi, ti dirò che in acuni casi sono ancora più conservatrice: uso abitualmente reuptake per ricaptazione, diagramma di flusso per flow chart e assicurazione qualità per quality assurance. Stroke mi lascia perplessa. Io lo mantengo solo per “stroke unit”. In quali altri casi lo lasceresti in inglese? Puoi fare qualche esempio? Grazie, Maria Luisa

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    1. Grazie per queste considerazioni che si aggiungono a quelle delle colleghe (vedi sopra). Su “stroke” hai ragione: ero molto perplesso nell’inserirlo e alla fine lo ho fatto solo per l’ampio uso che se ne fa, ma è certo preferibile usare il termine “ictus”.

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  4. Claudia Percivalle ha detto:

    Sono d’accordissimo per ictus vs stroke unit, ricaptazione (molto elegante), diagramma di flusso, quante idee emergono! Una chicca: recentemente mi hanno corretto “feedback” in “retroazione”, ma lo trovo vagamente medioevale…

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    1. “Retroazione” per “feedback” proprio no… Grazie a te e alle colleghe che avete precisato il “minidizionario” delle parole inglesi che si possono usare. Ora lo aggiorno con tutte le vostre osservazioni e lo ricarico. Grazie davvero,

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